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Maria Montessori, il film La nouvelle femme con Jasmine Trinca racconta come nasce il metodo educativo e la storia dietro l'icona femminile. L'intervista alla protagonista «Da quando posso scegliere dei ruoli, quello che faccio nei film coincide con quello a cui voglio dare voce». A parlare è Jasmine Trinca , il cui tono ha sempre qualcosa di rassicurante e familiare.

Non è solo una chiacchierata, ma ogni volta con lei diventa dialogo, scambio da alimentare, tra riflessioni profonde e considerazioni più leggere. Basta scorrere la sua carriera di attrice (da poco è entrata come votante dell’Academy of Motion Picture), e ora pure regista (con Marcel! ), per rendersi conto di cosa vogliano dire talento, dedizione, cura. Dal debutto ne La stanza del figlio di Nanni Moretti, è riuscita a diversificare ruoli e personaggi attraverso le storie: La meglio gioventù, Fortunata, Miele, Euforia , la recente serie L’arte della gioia o il film Sulla mia pelle , dov’è stata un’eccezionale Ilaria Cucchi.



Ha interpretato donne forti, fragili, epiche nell’affrontare la vita con fierezza e semplicità. Un po’ come lei che, fuori dal set, star non lo è mai stata, preferendo crescere insieme ai suoi personaggi. Tappe di una vita recitativa nella quale ora arriva Maria Montessori - La nouvelle femme , pellicola di Léa Todorov in sala dal 26 settembre con Wanted Cinema.

Maria Montessori - La nouvelle femme : cosa racconta il film Maria Montessori – La nouvelle femme vede protagonista Jasmine Trinca nel ruolo della pedagogista di origine marchigiane che ha rivoluzionato con il suo metodo l’educazione e l’approccio all’infanzia. Un racconto al femminile, femminista e profondamente illuminante che vede al centro Maria Montessori, figura che ha precorso i tempi, lottando, all’inizio del secolo scorso, per l’eguaglianza di diritti in un mondo dominato da paternalismo e maschilismo. L’escamotage attraverso il quale la regista Léa Todorov - figlia del più grande storico della letteratura russa, Tzvetan Todorov - costruisce l’intreccio della vicenda è l’incontro di Maria Montessori e Lili d’Alengy ( Leïla Bekhti ).

Quest’ultima è una famosa e fatale mondana parigina che ha un segreto vergognoso: una figlia disabile, Tina, che tiene nascosta per proteggere la sua carriera nei salotti dell’alta società fin de siècle. Decide di portarla a Roma da dove arriva notizia di una pedagogista che sa come trattare casi simili. Le due donne, diversissime in tutto, troveranno lentamente un’intesa inaspettata che porterà alla luce un segreto condiviso.

La pellicola mostra così la lotta di emancipazione di una donna, sia nella vita privata che sul lavoro, e l’ideazione di un metodo, oggi universale, della sua sperimentazione e perfezionamento. Interessante e centrale è nel film il passaggio dall'applicazione del metodo Montessori con bambini con difficoltà di apprendimento all'uso con bambini normodotati, evidenziando l'importanza di un approccio all'insegnamento inclusivo e personalizzato, concepito per valorizzare tutte le diversità per un’istruzione accessibile a bambini di ogni condizione sociale e abilità. Intervista a Jasmine Trinca Il film è stato presentato allo Zurich Film Festival: è qui che incontriamo Jasmine Trinca, che vedremo al cinema nel ruolo della famosa pedagogista ed educatrice italiana, capace di rivoluzionare col suo metodo l’approccio all’infanzia.

Una donna all’avanguardia, in grado di lottare per l’eguaglianza dei diritti, in un mondo dominato dal maschilismo. Partiamo da un’ipotesi: questa è l’ultima intervista che rilasci. Cosa vorresti che venisse fuori? Non avendo la passione per l’essere rappresentata, al di fuori di quello che faccio come lavoro, ti direi: una forma di coraggio, di essere diretta rispetto all’appartenenza a un pensiero, e che venisse tutelato questo.

Mi piacerebbe poter dire alle altre donne di essere come sentono di essere. Maria Montessori, nel film rappresenta un personaggio molto all’avanguardia..

. In Italia, e non solo, è stata una figura direi quasi mitologica. Ciò che mi ha colpita qui è il racconto di un ulteriore aspetto della sua vita – il metodo certamente.

Ma la storia è anche uno specchio per narrare alcuni elementi del femminile. Credo che l’immagine di una persona restituita dai film riguardi anche la sfera circostante. Qui si parla di un aspetto privato come la sua maternità.

La società le impose di rinunciare a suo figlio perché non era sposata. E lei lo fece: rinunciò alla sua maternità privata, ma solo per abbracciare quella universale. Penso sia un tema importante, oggi.

C’è qualcosa di lei che senti più vicino? In quello che ho provato a fare qui c’è una delle mie massime. Ovvero, ciò che a me interessa non è strettamente il mio mondo, ma quello che ho intorno. È come dire: “Ho una missione più grande della persona che sono”.

Io mi nutro della condivisione e dello sguardo su ciò che non sono io, posso anche sbagliare, ma ho voglia di percepirmi parte di un insieme. Che cosa significa essere rivoluzionari? La rivoluzione è quella delle persone semplici, quella che viene dal basso, da un posto dove, in teoria, rispetto a una società che non ti vede, tu ti autorizzi a portare la tua voce: quello lo trovo rivoluzionario. Di solito si ascolta il potere, e quando le persone, i movimenti, alzano la voce, tutto viene ritenuto un eccesso.

Sembra che i tuoi ruoli siano uniti da un filo conduttore. C’è l’urgenza di alcune scelte e ora le posso fare. Quando ero più giovane avevo sviluppato meno questa visione.

La complessità del femminile, per esempio, è un racconto stratificato e multiforme, non soltanto di empowerment. Il senso del femminile e la libertà li hai imparati da tua madre? Non immediatamente, li ho appresi dopo. Lei è stata un esempio luminoso: l’eredità, per me, è aver ricevuto un valore profondo, immateriale.

Per questo credo di essere sempre più simile a lei. Tua figlia Elsa sta crescendo, ha già 15 anni. Ha iniziato il liceo classico, lo stesso che ho frequentato io a Roma, il Virgilio.

Le hai mostrato La meglio gioventù ? L’ha visto e ne è rimasta impressionata: dato che ricorda molto me da giovane, ha capito il pericolo che corre (ride, ndr). Cosa dice di te? Restituisce di me la giusta dimensione, come il fatto che non sono più una ragazza. È molto severa.

Si fa i fatti suoi, però penso, – anzi ne sono sicura – che, visto il nostro legame, quello che faccio la attraversi. Lei ha fatto un piccolo ruolo in Marcel!, ho avuto la sensazione che aver partecipato l’abbia toccata. Dirigere è servito a.

..? Non pensavo innanzitutto di avere, non dico la capacità, ma un linguaggio e uno sguardo tutto mio.

È un lavoro di grande scambio collettivo. La vita mi fa rispondere alla vita, e così che concepisco questo lavoro. Oggi, però, prendo il tempo anche per digerire le cose: vivere vuol dire anche pensare.

A volte manca il tempo per la riflessione, per il puro ozio. Io invece preferisco curare le relazioni umane, essere in contatto con la realtà. C’è qualcosa che invece ti infastidisce? La mancanza totale di sguardo, solidarietà, altruismo.

È il male della nostra epoca declinato all’infinito. Riavvolgiamo il nastro: cosa rivedi? È stato un percorso in evoluzione partito in tarda adolescenza. La mia crescita artistica, pubblica, corrisponde a quella della donna, come se mettessi insieme entrambe: devo alla recitazione non solo il vedere persone, ma anche l’apertura di nuovi orizzonti.

Mi diverte ancora provare a narrare diversamente il femminile, perfino quello della Montessori. Da Vogue Italia, settembre 2024, “Madre Universale”, pp. 227-228.

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